Page 29 - L'Acqua Muta, l'Acqua Nuova, l'Acqua Rubata
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Alcune testimonianze letterarie (Grecia, Arbëria, Sardegna)


                   B.  VINCENZO DORSA

            Vero e proprio antropologo culturale ante litteram e ad uno dei  più acuti teorici del
            pensiero albanista  , nonché stretto amico e collaboratore del De  Rada,  Vincenzo
            Dorsa  ci ha lasciato nelle sue opere delle testimonianze etnografiche di rilievo per la
            Calabria e l’Arbëria, che esamina nelle  sue opere con uno sguardo comparativo

            allargato al mondo antico e specificatamente greco-latino di cui aveva una vasta e
            approfondita conoscenza,  maturata  dalla sua lunga esperienza  di educatore e di
            docente di lettere classiche al Liceo Telesio di Cosenza. In vista dell’ormai imminente
            bicentenario della sua nascita (2023) meriterebbe sicuramente una maggiore e
            riconsiderata attenzione la sua opera Su gli Albanesi: ricerche e pensieri (1847) che fece
            conoscere ai circoli culturali  , non solo nazionali, il mondo  albanese  e il  mondo
            arbëresh con un’ opera di mirabile  sintesi enciclopedica che per la prima  volta
            presentava insieme la storia, la lingua, la cultura e la letteratura di questo popolo, ma
            con una  attenzione  particolare alla cosiddetta  questione albanese  che cominciava
            allora a porsi all’interno della più generale questione orientale e con uno sguardo
            visionario rivolto ad un futuro che lui cominciava ad intravedere per la sua nazione
            “divisa e dispersa, ma una” a cui dedica non a caso la sua opera, libero e indipendente.
            Ecco come Dorsa ci riporta questo rito dell’acqua nuova che collega ai “Tre giorni di
            Pasqua” :
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                   “La Domenica, il Lunedì e il Martedì che succedono sono i tre giorni sacri a questa
                   nazionale solennità: il tempo è dal dopo pranzo alle prime ore della notte. Ed è tale
                   l’attaccamento che si ha a questo costume che lungo tempo prima vi si prepara a
                   solennizzarlo. Epperò l’altro rito della mezzanotte che precede la Pasqua. In
                   quell’ora solenne in cui da mille voci si sente risuonar per le vie il CrijÚj anšjh
                   ["Χριστός ἀνέστη"] della Chiesa Greca, inno quanto sublime altrettanto fecondo di
                   altissime impressioni, che in brevi tratti canta il mistero più augusto e profondo
                   della Religione, la Redenzione; in quell’ora istessa altri corsi di giovanetti, dopo aver
                   attinto dalla fontana l’acqua nuova simbolo della rigenerazione, percorrono le vie
                   saltando, e intuonano una canzone che annunzia la  festa patria e raccomanda
                   solennizzarsi con decoro, dignità ed entusiasmo”.





                   C.  FRANCESCO ANTONIO SANTORI

            Anche nel romanzo  Sofia Cominiate  di Francesco Antonio Santori,  che risale alla

            seconda metà dell’Ottocento, cioè circa mezzo secolo dopo la prima attestazione del
            rito dell’acqua nuova da parte del De Rada, troviamo un’altra testimonianza letteraria
            sull’acqua muta, che viene descritta così come viene oggi conosciuta nella attuale
            forma popolare arbërisht e cioè  të vjedhurit e ujit  (‘il rubare l’acqua’) che oggi
            identifica comunemente questo rito nelle comunità albanofone.  Essa si trova


            34  Sugli Albanesi. Ricerche e Pensieri di Vincenzo Dorsa, Napoli, Dalla Tipografia Trani, 1847, p.158.
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