Page 30 - L'Acqua Muta, l'Acqua Nuova, l'Acqua Rubata
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AMILITO NERÓ – UJËT E VJEDHUR – S’ABBA MUDA


            all’interno di  questo romanzo santoriano  –  il primo  romanzo della  letteratura
            albanese - in una narrazione affidata ad una anziana donna, Carmenia, che a Macchia
            Albanese  rievoca  al barone  Battigera le tipiche pratiche  rituali, laiche e religiose,
            alcune antiche e qualcuna ormai dimenticata, che scandivano la vita comunitaria
            dell’Arbëria:

                     «I foli ka Rruzallet, ka Vllamia, ka Vallet, ka Nuset, Kalimeret hareje, Kalimeret
                     lipullore, ka Motremat, ka Ninulat pasqëme, ka të vjedhurit e ujit çë zakoniset
                     ndë Pashqit e të Ngjallturit, e ndë Pashqit e Pefanis. I perhapi Cristos Anestin,
                     KristÒj anesti e ca tjera këndime të moçëme albreshe, e ca kënëka heroishte, e kurë
                     arvoi ndër ato të Kostondinit të vogëlin e trimin, Baruni vate si jasht vetjui, kurë
                     çë pjaka ja thoj prë  të  ditën  herë  pse  godhijtë  e Garandinës  diu  cilin  sillua i
                     zgjuanë, e i prjerrurë çë qe mbë vethenë, tuke shërtuarë keq fort e thellisht tha
                     këtë ëmërë “Karmenia…”»


            In questa sequela di rituali che vengono non a caso assemblati dal Santori per dare
            una rappresentazione unitaria a tutte le principali espressioni rituali, laiche e
            religiose, che lui ancora recupera nella memoria della comunità, simboleggiata da
            questa figura matriarcale di Carmenia, ci sono alcuni accostamenti di riti tradizionali
            che ci appaiono immotivati, ma che invece se li analizziamo con qualche
            approfondimento  di  tipo  liturgico  ci  svelano  intrecci  profondi  che  oggi  nella
            mentalità comune si fa fatica a percepire.
            Uno di questi riguarda proprio “të vjedhurit e ujit çë zakoniset ndë Pashqit e të Ngjallurit
            e ndë Pashqit e Pefanis”: ma come fa qui lo scrittore di Santa Caterina Albanese a
            mettere assieme questo rito della veglia di Pasqua che lui descrive con espressione
            arbëreshe  –  e non nella formula italiana  dell’acqua nuova  o dell’acqua muta  –
            collegandola ad una analoga tradizione che ci dice caratterizzare anche  Pashqit e
            Pefanis (‘la Pasqua dell’Epifania), cioè la festa dell’Epifania?
            Diciamo subito che Pasqua Epifania indica in alcune zone d’Italia la celebrazione
            dell’Epifania del 6 gennaio, e questo perché l’Epifania è una Pasqua, un ”passaggio”
            che Gesù secondo la teologia cristiana  compie per la salvezza dell’umanità. Per
            questo nel giorno dell’Epifania la liturgia prevede l’annuncio del giorno di Pasqua.
            Ma l’analogia non è determinata solo dal comune denominatore della “Pasqua” –
            rispettivamente di Resurrezione e di Epifania – per queste due festività, che risultano
            essere tra le più importanti del calendario liturgico, ma anche dalla centralità e dalla
            sacralità dell’acqua rigeneratrice e santificatrice che ritroviamo in entrambe queste
            ricorrenze.
            Ma il suo simbolismo resta su un piano del tutto esteriore, essendo nella tradizione
            della  chiesa orientale l’acqua legata alla fontana non-liturgica in riferimento alla
            processione laica ad fontes della veglia pasquale e alla fontana liturgica nella vigilia
            della  Epifania cristiana (o Teofania) (5 gennaio), con la solenne benedizione
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