Page 21 - L'Acqua Muta, l'Acqua Nuova, l'Acqua Rubata
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L’Acqua Muta, l’Acqua Nuova, l’Acqua Rubata
Albanese e Vaccarizzo Albanese. Va segnalato, per completezza di informazione,
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che l’altro elemento centrale di questa ritualità è il fuoco. Così come ricorre oggi
anche in qualche comunità dell’Epiro, i due momenti - quelli incentrati sull’acqua e
sul fuoco – sono tra loro tra loro strettamente interrelati e ciò per la comunità di
Vaccarizzo Albanese si coglie bene grazie alla seguente puntuale descrizione
dell’Acqua muta fornitaci da Maria Paolina Chinigò:
“La sera del Grande Sabato verso le 23,30 viene celebrato il rito del Christòs Anèsti . La
chiesa è buia e il papas celebrante accende il cero pasquale da cui tutti i fedeli accendono le
loro candele uscendo sul sagrato della chiesa, alle parole del papas che dice: “Venite, prendete
la luce”. A questo punto le porte della chiesa si chiudono, mentre alcuni ragazzi si nascondono
dentro. Il papas recitando preghiere e letture di grande suggestione con la croce astile in mano
batte per tre volte sulla porta con la croce ordinando al dio degli inferi di uscire e alla porta di
aprirsi; contemporaneamente all' interno della chiesa i ragazzi, imitando il diavolo, provocano
forti rumori trascinando catene e spostando banchi, mentre una voce gridando dice:" U jam
regji u jam dheu". La scena si ripete per tre volte, poi, d’improvviso, le porte si aprono e il
papas, seguito dai fedeli, entra nella chiesa intonando il canto pasquale “Christòs Anèsti”:
‘Cristo è risorto dai morti, con la morte ha calpestato la morte e ha ridato la vita a
coloro che giacevano nei sepolcri’. Intanto fuori nella piazza antistante la chiesa, mentre
le campane suonano a festa, si accende il grande falò. Per il suo spegnimento si adoperano
molte persone che a gruppi, ma in rigoroso silenzio, si dirigono verso una fontana pubblica,
Kroi i vjetër o Kanalli i vjetër (la fontana vecchia), situata nella parte bassa, all’ingresso del
paese, dove vanno a riempire la bocca con l’acqua del “Kroi i vjetër” che quella notte è
chiamata “acqua muta”. Questi gruppi risalgono di nuovo verso la piazza, anche questa
volta rigidamente silenti perché hanno l’’acqua muta’ in bocca da buttare sul fuoco per
spegnere il falò. L’impresa non è delle più facili perché nel frattempo dei ragazzi, cercando di
imitare i diavoli, intralciano il loro cammino e tentano simpaticamente con parole e gesti di
far ridere i “portatori d’acqua” per farli restare a …bocca asciutta e vanificare così la loro
epica impresa! Ad impedire il fallimento della missione ci pensano però alcune donne – le più
anziane - della “compagnia delle acque” che si attrezzano con alcuni artigianali - ormai in
disuso - ma sempre efficaci dissuasori, denominati nella nostra lingua “dhikaniqet”, delle
forcelle biforcute con cui cercano di tenere lontano i tentatori i quali, per non buscarle, sono
costretti così a stare alla larga. Per tutta la notte si assiste a questa ben strana processione; la
gente, nel frattempo, gira per il paese, si organizza in gruppi e poi in piazza, davanti al fuoco:
così si mangia e si beve insieme fino al mattino.”
bizantino nonostante la comunità fosse stata obbligata già nel XVII secolo a passare al rito latino] (…) Durante
il suono delle campane le donne andavano alla fontana, senza parlare con nessuno, e riempivano orciuoli e brocche come
augurio. Era quella l’acqua della resurrezione, era l’acqua della nuova vita (…) Verso le ore dieci, sempre di sabato, si
andava in chiesa a benedire il fuoco e l’acqua. Ogni fedele portava un legno legato ad un filo per non confonderlo con gli
altri. Con questi legni si faceva un bel fuoco davanti alla chiesa e quando tutti i legni erano accesi andava il prete a
benedirli. Dopo la benedizione ognuno prendeva il proprio tizzone e lo portava a casa il quale accendeva il fuoco. Poi
prendeva una bottiglia piena d’acqua e ritornava in chiesa per la benedizione”, in Carmine Stamile (2020), Tradizioni
e credenze popolari a Cerzeto, vol.III, Edizioni Alimena - Orizzonti Meridionali, pp.79-80.
29 Tale rito - “Vemi e kallomi ujit”, cioè ‘l’andare a rubare l’acqua’, così come il rito della benedizione delle
acque – il grande aghiasmos della vigilia della Epifania - si compie a San Cosmo Albanese non in una fontana
pubblica, ma nel fiume Sabatino, vicino al centro abitato.