Page 16 - L'Acqua Muta, l'Acqua Nuova, l'Acqua Rubata
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Francesco Altimari



            della resurrezione di Cristo dispensatore di salvezza.  E così i praticanti sandemetresi
            della processione, dopo il silenzioso viaggio di andata e aver attinto l’acqua alla fonte
            abbaziale di S.Adriano, riutilizzano la parola per proclamare col celebre tropario
            pasquale bizantino che Cristo è  risorto: “Kristos Anesti/Krishti u ngjall.
            Paradossalmente è  necessario questo prodromico, ma provvisorio  “esilio della
            parola  umana” per poter  annunciare  al mondo il Logos  che si incarna, muore e
            rinasce nel Figlio di Dio: “Χριστὸς ἀνέστη ἐκ νεκρῶν θανάτῳ θάνατον πατήσας, καὶ
            τοῖς ἐν τοῖς μνήμασι ζωὴν χαρισάμενος”.(’Christos anesti ek nekron,thanato thanaton
            patisas. kai tois en tois mnemasis zoin kharisamenos’) ‘Krishti u ngjall nga të vdekurit, me
            vdekjen shkeli vdekjen edhe atyre çë ishin ndër varret jetën i dha’/Cristo è risorto
            dai morti, con la morte ha sconfitto la morte, e a quelli che giacevano nei sepolcri ha
            dato la vita’.
            Cantando in  compagnia il celebre tropario bizantino di Pasqua “Christòs  Anesti”
            durante il viaggio di ritorno del tragitto processionale verso il paese, incrociando gli
            altri  praticanti  i  quali,  invece  silenziosi,  devono  ancora  recarsi  alla  fonte  del
            monastero, non si esita a stuzzicarli o a provocarli  – specie quando i ragazzi sul
            tragitto di ritorno incontrano ragazze impegnate nel tragitto di andata – per saggiare
            così  la loro “resistenza” al mantenimento del silenzio, che viene comunque difeso
            da qualche donna più anziana con “dhokaniqja” (‘forcella biforcuta’), con cui si cerca
            di tenere alla larga i tentatori.
            Il percorso processionale si conclude quindi al centro del paese, sul sagrato della
            chiesa madre, dove è stato nel frattempo allestito il grande fuoco rituale. Questo
            fuoco sacro, detto  “Qerradonulla”, veniva  -  oggi  un  po’ meno!  -  tradizionalmente
            alimentato solo con ceppi, rami secchi e alberi interi, divelti ma non tagliati, secondo
            una  antica prassi presente nei vari  riti  arborei che sono ampiamente diffusi  nel
            Meridione, specialmente nelle aree interne calabro-lucane.
            Alle prime luci dell’alba si chiude questa notte speciale: prima davanti al sagrato e
            poi, dopo l’apertura della porta, nella chiesa madre, dove il papas con i fedeli
            partecipano al rito religioso chiamato in albanese “Fjalëza e mirë” (la Buona Novella)
            o Ufficiatura  della risurrezione   con cui termina la  veglia pasquale,  per
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            Sant’Agostino “la madre di tutte le veglie”.


            Bolognari nella comunità arbëreshe a partire dalla metà degli anni ’70 del secolo scorso, favorite anche dalla
            fruttuosa collaborazione offertagli dal compianto papas Giuseppe Faraco, se questi riti locali, compresa la
            “festa dei morti” (cf. la sua pregevole monografia Il banchetto degli invisibili. Psychosabbathon tra gli Arbëreshë,
            Abramo, Catanzaro 2001), particolarmente sentiti dalla comunità locale, hanno avuto poi ampia risonanza
            fuori di essa, con positive ricadute nella stessa comunità indagata, grazie anche ad una serie di video-ricerche,
            saggi e film antropologici da lui diretti e molto apprezzati, non solo all’interno della comunità scientifica.

            24  Nel manoscritto di Alighieri Mazziotti Le festività di Pasqua nei paesi Italo-Albanesi e di rito greco l’autore ci
            riporta una analitica descrizione, non priva di buona scrittura letteraria, di questa ufficiatura che all’epoca
            veniva anche “teatralizzata” con tratti arcaici molto suggestivi di cui oggi è rimasta solo una labile memoria
            nella comunità sandemetrese: “Degna di menzione, per la sua originalità, è il modo come si festeggia la Pasqua nei
            paesi Italo-Albanesi e di rito greco. Nella spianata del tempio, per tutta la notte che va dal Sabato alla Domenica arde un
            grande fuoco alimentato da legna secca e da interi alberi sradicati nei campi vicini e trascinati al fuoco medesimo dalla
            ragazzaglia schiamazzante. Poi quando il cielo all’alba diventa di cobalto un uomo vestito da demone con le anche e col
            dorso ravvolti in nere pelli caprine e con in mano una lunga catena e grossi anelli di ferro si chiude nella chiesa donde
            tutta la gente è uscita. E là egli despota mette sottosopra ogni cosa fracassando sedie e panche, rovinando mobili e gridando
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