Page 35 - L'Acqua Muta, l'Acqua Nuova, l'Acqua Rubata
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Alcune testimonianze letterarie (Grecia, Arbëria, Sardegna)


            capacità cioè dell’essere umano di fare esperienza dell’infinito nel finito, e dell’eterno
            nella mortalità della sua vita terrena.
            Tutto questo è “a s’abba muda”, un rito sardo legato alla festa di san Giovanni, che si
            é conservato a Macomer fino ad oggi, anche se forse solo nel suo aspetto più
            mondano del gioco e del divertimento.
            Io, invece l’ho vissuto nella mia prima età con una intensità emotiva del tutto
            particolare, e la rileggo oggi come il sacramento con cui una società arcaica offriva alla
            sua gioventù la possibilità di strutturare l’attrazione reciproca dei corpi e di fare di
            quella esperienza iniziatica il  paradigma per  vivere le proprie storie d’amore  in
            libertà e consapevolezza. Il silenzio – come emergerà nel racconto –  ne era parte
            essenziale e strutturante. Può oggi questo rito fornire suggestioni, aprire riflessioni,
            indicare qualche pista a giovani e non più giovani? Questa potrebbe essere la ragione
            di questa scrittura e il il valore della mia testimonianza. E tuttavia, se avesse ragione
            la mia amica e solo io avessi memoria di questo rito?  E se fra quelli, di cui conosco il
            cognome, e quelle, di cui non ricordo ovviamente né nome né volto ( e si capirà più
            avanti perché affermo  che è  ovvio che non le  ricordi),  non ci  sarà  nessuno/a  ad
            avvalorare la  mia  testimonianza?  La cosa non cambierebbe perchè  io non sto
            parlando davanti a un tribunale e non ho dunque bisogno di fornire prove, né sto
            tentando  una  ricostruzione  storica e non ho dunque  bisogno di documenti. Sto
            semplicemente restituendo a me stessa, e a chi la vorrà, una memoria attraverso la
            quale ampliare il campo semantico, evocare echi, creare aloni, allargare i cerchi che
            questa parola –silenzio – può aprire in noi, aggiungendo spessore esperienziale a
            questa parola, attingendo direttamente dalla mia storia personale e dalla cultura
            della  mia terra. A  partire da questa  rielaborazione, vorrei inoltre proporre un
            progetto per fare in modo che questa memoria, rigenerata dalla parola e dall’ascolto,
            diventasse essa stessa fonte di altra esperienza, dono che il tempo regala al tempo.
            Vorrei, cioè che la memoria, custodita nel silenzio e dal silenzio rifiorita, ricreasse
            attraverso le parole che la  rielaborano il mito, ossia l’accadimento e quanto esso
            trasmette  come messaggio antropologico. Da questo poi potrebbero scaturire la
            volontà e le sinergie per fare in modo che il rito rinasca  nella  sua completezza,
            almeno là dove ancora ne esiste qualche traccia, a Macomer per esempio. Non per
            nostalgia del passato ma per offrire un altro modo – uno fra i tanti – per ripensare o
            rifondare i luoghi dell’incontro e insieme il senso e il valore del silenzio nella
            rifondazione dell’umanità. (E proprio poco fa la mia amica sarda mi ha comunicato
            che esiste un gruppo a Macomer a cui ci si può rivolgere perché questo spunto e
            questo desiderio si trasformino in progetto).


            A s’abba muda
            La festa di san Giovanni, il 24 giugno, a Macomer, paese di circa diecimila abitanti ai
            confini della catena del Marghine, in provincia di Nuoro in Sardegna, vede ripetersi

            ancora oggi una  tradizione  secolare:  ai cantoni delle strade i ragazzi in età
            adolescenziale  accendono sul calare della sera grandi fuochi di frasche e sterpi,
            raccolti e ammucchiati nei giorni precedenti. Vi si accalcano intorno maschi e
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