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L’Acqua Muta, l’Acqua Nuova, l’Acqua Rubata
Guardando però più analiticamente a questo scenario apparentemente eterogeneo e
complesso, diventa più agevole spiegare perché i riti e i culti associati all’acqua –
muta, nuova o incantata che sia, riprendendo la tipologia così individuata in ambito
etnografico calabrese da Vincenzo Dorsa e richiamata nella sua davvero esemplare
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monografia antropologica sull’acqua dall’amico Vito Teti - nelle diverse tradizioni
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esaminate si collocano in momenti diversi, spesso non coincidenti con i calendari
odierni, che rispecchiano questo intreccio di diverse tradizioni - anche religiose - che
si sono sovrapposte storicamente nell’ambito del Mediterraneo.
2. Riti e culti dell’acqua nelle diverse regioni del Mediterraneo (e oltre)
La diffusione di questo rito, che troviamo registrato in Calabria rispettivamente come
Acqua muta nella notte di Natale e come Acqua nuova o Acqua rubata nella notte di
Pasqua, coinvolge l’intera area mediterranea. Come s’Abba muda (‘l’acqua muta’) esso
è attestato diffusamente anche in Sardegna, regione che è stata soggetta al dominio
di Bisanzio dal 534 d.C. fino al 1000 circa, dove lo troviamo praticato tutt’oggi in
diverse comunità dell’isola: Ardauli, Bono, Cuglieri , Macomer e Milis sono solo
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alcune di esse .
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Ma è nei Balcani che lo ritroviamo oggi più presente: gli albanesi della Ciamuria lo
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chiamano ujët e pafolë (‘l’acqua senza parola’) e gli arvaniti dell’isola greca di Eubea
2 Vincenzo Dorsa (1884), La tradizione greco-latina negli usi e nelle credenze popolari della Calabria Citeriore,
Cosenza, pp.113.
3 Vito Teti (2013), Storia dell’acqua. Mondi materiali e universi simbolici. Donzelli, Roma.
4 Nel sito del Comune https://turismo.comune.cuglieri.or.it/contenuti/435323/san-giovanni si riporta una
breve descrizione del rito della S’Abba muda in questa comunità sarda: “Nella notte del 24 giugno, vigilia
della festa di San Giovanni Battista, avviene il rito ancestrale de “S’Abba muda ”: dopo una breve sosta nella
chiesa dei Cappuccini, ai piedi della statua del Santo bambino coperto di pelle d’agnello, si lascia a piedi
l’abitato e camminando ai lati della strada (riservando, così, la parte centrale per i defunti), in assoluto
silenzio e senza mai voltarsi indietro, ci si dirige alla fonte di Tiu Memmere per bere l’acqua che sana i mali
del corpo e dell’anima; alla stessa maniera, in silenzio e senza mai girarsi, si fa ritorno alla chiesa. Culto
nuragico dell’acqua salutare e devozione al Santo cristiano che con l’acqua scacciava la colpa antica del
peccato originale, si sono così amalgamati e fusi e si ripetono, anno dopo anno, con ferma convinzione”.
5 La scrittrice sarda Pinuccia Corrias in https://concorsolinguamadre.it/a-proposito-di-silenzio-2/rievoca
con una straordinaria capacità poetica, ricorrendo ad un coinvolgente approccio antropologico-psicanalitico,,
il rito della S’Abba muda attraverso l’esperienza personale da lei vissuta da giovane a Macomer, sua comunità
di origine.
6 Da sottolineare che nella tradizione sarda della S’Abba muda il silenzio, aspetto centrale della sacralità del
rito, oltre ad essere una precondizione per assicurare “potenza” taumaturgica all’acqua chiamata a guarire i
mali del corpo e dell’anima, era visto come segno di rispetto per le anime dei defunti che vi partecipavano e
considerate parte costitutiva della comunità. Ad esse per una notte si riservava durante il cammino silenzioso
alla fonte – non una qualsiasi, ma una particolare, che poteva trovarsi anche fuori dal paese: a Cuglieri era
quella denominata “Tziu Memmere”, a Bono quella delle “Tres Funtanas”, a Milis quella de “Sa Funtana a intru”
ecc. - il centro delle vie, mentre i partecipanti camminano ai bordi delle strade.
7 Qemal Haxhihasani (1974), “Vështrim i përgjithshëm mbi të folmen e banorëve të Çamërisë. II » (pp.3-113)
in Mahir Domi et al., Dialektologjia Shqiptare, II, Akademia e Shkencave e RP të Shqipërisë, Tiranë 1974, p.80:
“pafolë (ujë të-), ujë të pakuvenduar, ujë që merrnin mëngjezit në ditë të shënuara për të spërkatur njerëzit, kafshët dhe
sendet e shtëpisë (Margëlliç). Haxhihasani ci attesta l’area della Ciamuria come fonte di questo lessema: