Page 12 - L'Acqua Muta, l'Acqua Nuova, l'Acqua Rubata
P. 12
Francesco Altimari
più attenta analisi ci ha portato a riconsiderarle tratti di forme resilienti di una
ritualità conservativa che queste comunità avrebbero acquisito già nel contesto
balcanico di provenienza.
La stessa espressione con cui questa pratica di religiosità viene oggi rievocata
arbërisht e cioè “Vem’e vjedhëmi ujët” (traduzione italiana: ‘andiamo a rubare
l’acqua’), ci era sembrata frutto di una laica e sopraggiunta reinterpretazione del rito,
che si sarebbe probabilmente rimodulato in Calabria nel corso dei secoli per una
parziale perdita di senso dell’originario significato magico-religioso e di parte della
memoria, per essere associato ad una azione ormai incompresa che finiva per essere
percepita alla stregua di un insignificante “furto d’acqua”. In altre parole,
pensavamo che essa potesse servire a testimoniare ai giorni nostri semplicemente
l’avvenuta “deideologizzazione” del rito originario, che nella percezione degli
odierni praticanti poteva apparire ormai privato di parte dei suoi contenuti originari
più arcaici e che una falsa decodifica basata solo sull’aspetto esteriore e cioè sull’agire
dei praticanti nel cuore delle tenebre notturne e in pieno silenzio, avrebbe fatto
erroneamente associare tale pratica ad un’azione quasi “furtiva”, ma anche priva di
senso, come appunto l’andare a “rubare l’acqua”.
Allargando poi lo spettro anche geografico della mia ricerca mi sono imbattuto in
ambito ellenofono, e specificatamente in Epiro, nell’ espressione “Το κλεμμένο νερό”
(‘l’acqua rubata’), che corrisponde in greco sostanzialmente alla analoga espressione
linguistica albanese Vem’e vjedhëmi ujët” (‘andiamo a rubare l’acqua’) in uso oggi
nelle comunità calabro-arbëreshe anche se indica un rito simile che si svolge a Natale
e non a Pasqua. A questo punto ho dovuto rivedere la mia prima ipotesi, arrivando
alla odierna convinzione e alla provvisoria conclusione che non ci troviamo qui
dinanzi ad una rielaborazione reideologizzata del rito originario, ma che siamo
piuttosto in presenza della sostanziale conservazione dello stesso rito, che si va ad
aggiungere alle altre significative e importanti convergenze – linguistiche, culturali
e, a quanto sembra, anche etnografiche e cultuali - che si registrano tra la regione
epirotica balcanica- una terra plurietnica e plurilingue dove accanto alla
maggioranza greca ritroviamo anche una minoranza albanese e una minoranza
valacca - e l’Arbëria italiana.
4.1 San Demetrio Corone
Ma passiamo alla descrizione, nella versione registrata nella comunità di San
Demetrio Corone, di questa processione di fatto comunitaria, anche se realizzata da
praticanti organizzati per distinte compagnie di familiari o gruppi di amici o vicini
di casa che dalla propria abitazione si recano senza parlare fino alla fontana
prestabilita – che è quella del Collegio – un tempo monastero - di S. Adriano –
percorrendo il lungo corso Dante Alighieri fino al raggiungimento della meta.
“Vemi e vjedhëmi ujët” o “Vemi e kallomi ujët” (traduzione italiana: ‘andiamo a rubare
l’acqua’): è così che viene conosciuta popolarmente questa pratica rituale della vigilia
pasquale nelle comunità arbëreshe della Presila greca. Il patto sacrale di sospensione
della parola umana che dà senso alla processione ad fontes durante la notte del Sabato
Santo o “Grande Sabato”, come viene identificato in contesto greco-bizantino (“το