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L’Acqua Muta, l’Acqua Nuova, l’Acqua Rubata



            Accanto al rito dell’Acqua nuova a Pasqua si registra sempre in Calabria una pratica
            analoga nota come l’Acqua muta che nel calendario rituale si colloca generalmente
            nell’altra festa a fondamento della rivelazione cristiana rappresentata dal Natale. Ne
            parla  lo  studioso  arbëresh  di  tradizioni  popolari  calabresi  Vincenzo  Dorsa  a
            proposito di una comunità calabrese della Presila, nel Cosentino:
            “Nel villaggio di Grimaldi l’acqua attinta alla fontana la mezzanotte di Natale è creduta
            efficacissima ad allontanare qualsiasi male e ad apportare per giunta ricchezza, salute e
            felicità. È chiamata l’acqua muta, perché le donne che vanno ad attignerla in quell’ora di
            misteri nello incontrarsi devono curare di non riconoscersi; al  quale fine  si coprono
            largamente la persona d’un panno nero ed incedono in profondo silenzio. Ove mai per caso
            avvenga che si riconoscano, tornano immediatamente indietro senza provvedersi dell’acqua
            o fondendo a terra quella che avessero attinta, credendone svanita la virtù con lo svanire del
            mistero” .
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            Ecco come ce lo descrive l’antropologo calabrese Raffaele Corso: «Con la nascita del
            Bambino una divina luce si diffonde sulla terra e una nuova era di bene e di gioia sta per
            cominciare. Le pie donne si recano alla fontana ad attingere in silenzio l’acqua che perciò è
            chiamata muta. L’anno nuovo sta per iniziare: segno della natura che si risveglia dal torpore
            invernale» .
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            4. L’Arbëria calabrese: Vemi e vjedhëmi/kallomi ujët
            Forme apparentemente sincretiche che potremmo definire miste laico-religiose di
            queste  due  tradizioni  calabresi  riferite all’Acqua nuova  per la veglia di Natale  e
            all’Acqua muta  per la veglia di Pasqua, con cui le comunità celebranti intendono
            segnalare ed esaltare  il passaggio da  una vecchia ad una nuova condizione  -
            materiale o  spirituale  –  di rigenerazione, caricando di forme magiche significati

            religiosi profondi come l’avvio di una vita nuova, si ritrovano  in  una ritualità
            presente tutt’oggi  in  alcune comunità calabro-albanesi della Presila greca,
            specificatamente  a San Demetrio Corone, a San Cosmo Albanese, a Vaccarizzo
            Albanese e, un tempo, anche a Spezzano Albanese.
            Tali forme appaiono  apparentemente  commiste  nella veglia pasquale  di queste
            comunità, di cui costituiscono possiamo dire il prologo. Dopo averle “interpretate”
            in prima istanza come il risultato di una ritualità mescidata, nei temi e nei tempi di
            esecuzione, determinata da un possibile interscambio intervenuto per mutuazione
            tra queste pratiche di religiosità arcaica nel contesto culturale italo-meridionale, una


            essere ancora pratica viva in area balcanica, simboleggiava quel momento centrale della Chiesa delle origini
            in cui nel passaggio tra il Sabato Santo e la Domenica di Pasqua (e analogamente tra il Sabato di Pentecoste (‘e
            Shtuna e Shalës’) e la Domenica di Pentecoste, si conferiva il battesimo ai catecumeni. Il passaggio al sacro
            fonte - fiume o fontana - veniva così solennizzato dai partecipanti che accompagnavano il catecumeno dal
            ‘silenzio della parola ‘ e poi dal neofita, rigenerato dall’acqua salvifica del battesimo, attraverso la veste bianca
            che poi portava fino al sabato successivo. Una volta esauritasi questa fase «catecumenale» delle origini il
            silenzio del sabato è stato reinterpretato come preparazione e atto devozionale di penitenza - l’astensione dalla
            parola - dei fedeli all’annuncio della Resurrezione, seguita attraverso il contatto con l’acqua salvifica dalla
            proclamazione della Parola: Christos Anesti! Krishti u ngjall!
            16  Vincenzo Dorsa (1884), op.cit., pp.31-2.

            17  Raffaele Corso (1954), «Tradizioni natalizie in Calabria», in Calabria Letteraria, III, n.2, p.4.
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