Page 11 - L'Acqua Muta, l'Acqua Nuova, l'Acqua Rubata
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L’Acqua Muta, l’Acqua Nuova, l’Acqua Rubata
Accanto al rito dell’Acqua nuova a Pasqua si registra sempre in Calabria una pratica
analoga nota come l’Acqua muta che nel calendario rituale si colloca generalmente
nell’altra festa a fondamento della rivelazione cristiana rappresentata dal Natale. Ne
parla lo studioso arbëresh di tradizioni popolari calabresi Vincenzo Dorsa a
proposito di una comunità calabrese della Presila, nel Cosentino:
“Nel villaggio di Grimaldi l’acqua attinta alla fontana la mezzanotte di Natale è creduta
efficacissima ad allontanare qualsiasi male e ad apportare per giunta ricchezza, salute e
felicità. È chiamata l’acqua muta, perché le donne che vanno ad attignerla in quell’ora di
misteri nello incontrarsi devono curare di non riconoscersi; al quale fine si coprono
largamente la persona d’un panno nero ed incedono in profondo silenzio. Ove mai per caso
avvenga che si riconoscano, tornano immediatamente indietro senza provvedersi dell’acqua
o fondendo a terra quella che avessero attinta, credendone svanita la virtù con lo svanire del
mistero” .
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Ecco come ce lo descrive l’antropologo calabrese Raffaele Corso: «Con la nascita del
Bambino una divina luce si diffonde sulla terra e una nuova era di bene e di gioia sta per
cominciare. Le pie donne si recano alla fontana ad attingere in silenzio l’acqua che perciò è
chiamata muta. L’anno nuovo sta per iniziare: segno della natura che si risveglia dal torpore
invernale» .
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4. L’Arbëria calabrese: Vemi e vjedhëmi/kallomi ujët
Forme apparentemente sincretiche che potremmo definire miste laico-religiose di
queste due tradizioni calabresi riferite all’Acqua nuova per la veglia di Natale e
all’Acqua muta per la veglia di Pasqua, con cui le comunità celebranti intendono
segnalare ed esaltare il passaggio da una vecchia ad una nuova condizione -
materiale o spirituale – di rigenerazione, caricando di forme magiche significati
religiosi profondi come l’avvio di una vita nuova, si ritrovano in una ritualità
presente tutt’oggi in alcune comunità calabro-albanesi della Presila greca,
specificatamente a San Demetrio Corone, a San Cosmo Albanese, a Vaccarizzo
Albanese e, un tempo, anche a Spezzano Albanese.
Tali forme appaiono apparentemente commiste nella veglia pasquale di queste
comunità, di cui costituiscono possiamo dire il prologo. Dopo averle “interpretate”
in prima istanza come il risultato di una ritualità mescidata, nei temi e nei tempi di
esecuzione, determinata da un possibile interscambio intervenuto per mutuazione
tra queste pratiche di religiosità arcaica nel contesto culturale italo-meridionale, una
essere ancora pratica viva in area balcanica, simboleggiava quel momento centrale della Chiesa delle origini
in cui nel passaggio tra il Sabato Santo e la Domenica di Pasqua (e analogamente tra il Sabato di Pentecoste (‘e
Shtuna e Shalës’) e la Domenica di Pentecoste, si conferiva il battesimo ai catecumeni. Il passaggio al sacro
fonte - fiume o fontana - veniva così solennizzato dai partecipanti che accompagnavano il catecumeno dal
‘silenzio della parola ‘ e poi dal neofita, rigenerato dall’acqua salvifica del battesimo, attraverso la veste bianca
che poi portava fino al sabato successivo. Una volta esauritasi questa fase «catecumenale» delle origini il
silenzio del sabato è stato reinterpretato come preparazione e atto devozionale di penitenza - l’astensione dalla
parola - dei fedeli all’annuncio della Resurrezione, seguita attraverso il contatto con l’acqua salvifica dalla
proclamazione della Parola: Christos Anesti! Krishti u ngjall!
16 Vincenzo Dorsa (1884), op.cit., pp.31-2.
17 Raffaele Corso (1954), «Tradizioni natalizie in Calabria», in Calabria Letteraria, III, n.2, p.4.