Page 15 - L'Acqua Muta, l'Acqua Nuova, l'Acqua Rubata
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L’Acqua Muta, l’Acqua Nuova, l’Acqua Rubata
anticipatrice del messaggio religioso riportato nello stesso inno Σιγησάτω πᾶσα σὰρξ
βροτεία - che una volta accolto , come si diceva già a partire dalla metà del Trecento,
nella liturgia eucaristica bizantina della veglia pasquale , veniva eseguito dopo la
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conclusione della processione con il ritorno in paese dei praticanti nella chiesa
orientale locale – tanto nel monastero quanto nella chiesa madre - alle prime luci
dell’alba, nella funzione liturgica.
Fig. 3 - San Demetrio Corone – Veglia Pasquale - anno 2000: compagnia di processionanti
“çë vanë e vjodhëtin ujit” eseguono in piazza il Kristos anesti /Krishti u ngjall/Cristo è risorto
(Archivio fotografico di Adriano Mazziotti)
Solo dopo aver attinto alla fonte della salvezza, rappresentata dalla fontana abbaziale
di S.Adriano, nel rigoroso rispetto del patto morale di astensione della parola, un
patto vissuto come una legge interiore, gli esecutori di questa pratica rituale,
condivisa con i loro familiari o vicini di casa o amici partecipanti alla processione
silenziosa, riacquisiscono il diritto alla parola . Ed esso si manifesta con l’annuncio
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22 Per i motivi già esplicitati da Stefano Parenti sulla attestazione di queste tradizioni innografiche in codici
liturgici del XIV-XV secolo e portati con sé dagli arbëreshë in Calabria dai Balcani possiamo fondatamente
ritenere che tale ritualizzazione, compresa quella più “laica” e popolare celebrata fuori dalla chiesa, con il rito
del silenzio e del “furto dell’acqua”, non venne assunta nell’ area bizantina italo-meridionale di nuovo
insediamento e condivisa dalla comunità albanese che ripopolò San Demetrio quando venne accolta nelle terre
del monastero dove si insediò dopo aver stipulato una capitolazione con i monaci nel 1471, ma era già parte
del suo patrimonio culturale e cultuale nell’ area bizantina balcanica di provenienza.
23 Una prima suggestiva lettura, con significativo approccio antropologico, di questo interessante rito nella
comunità sandemetrese ci è stato dato da Mario Bolognari (1975): “La scuola: macchina da guerra tra gli
arbëreshë” (pp. 2-5) in Zjarri, nr-1-2, anno VIII, San Demetrio Corone, ma anche in Il silenzio della tradizione. La
partecipazione della tradizione Arbresh alla formazione della cultura nazionale. Per un progetto di plurilinguismo,
Sciascia, Caltanissetta 1978. Si deve alle approfondite e sistematiche ricerche antropologiche condotte da